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    Biomateriali: mele, mais e funghi per costruire il futuro

    Materiali di provenienza naturale e tecniche di biofabbricazione promettono di rivoluzionare il modo in cui produciamo case, vestiti e oggetti: ecco quali potrebbero essere i “mattoni” con cui costruire un futuro sostenibile.

    L’edilizia, oggi fondata su sostanze inquinanti come cemento e calcestruzzo, è tra i settori a maggiore impatto ambientale. Fin dai suoi inizi, Alpenos ha scelto invece di praticare un’altra “via”, sostenibile e in armonia con l’ambiente: dal 2006 promuove l’utilizzo del legno – rinnovabile e non inquinante, come spieghiamo in questo articolo – a materiale d’elezione per la costruzione di case e di edifici sia pubblici che privati.

    La ricerca dell’innovazione è per noi un valore fondante; seguiamo quindi, con interesse, lo sviluppo di altri materiali sostenibili, che il più delle volte provengono dal mondo naturale. Stiamo parlando dei cosiddetti biomateriali: andiamo a vedere più nel dettaglio di cosa si tratta.

    Biomateriali: cosa sono

    I biomateriali sono materie prime rinnovabili e biodegradabili di origine naturale, create per sostituire le materie inquinanti e non rinnovabili (come plastiche e cemento) su cui si fonda l’attuale economia mondiale. Queste ultime, spesso di origine fossile, sono da sole responsabili di un’ingente fetta delle emissioni globali di anidride carbonica e hanno tempi di smaltimento estremamente lunghi, con conseguenze gravi per l’ambiente.

    Perché si possa pensare che un biomateriale vada a sostituire un suo corrispettivo non rinnovabile, va però innanzitutto indagata la sua effettiva ecosostenibilità. Cosa implica la produzione di questo materiale? Non ci sono “esternalità negative” nascoste (per esempio, a fronte di minori emissioni di CO2 potremmo avere un alto tasso di erosione del suolo)? Se il “candidato” passa tutti i test del caso, allora ci troviamo di fronte a un’alternativa praticabile.

    L’ecosostenibilità da sola, però, non basta. Ci sono molti altri fattori di cui tenere conto: i costi di produzione del biomateriale, la praticità di utilizzo, la resistenza, la durevolezza e, sì, anche la gradevolezza estetica. Insomma, eco non basta: il nuovo materiale deve essere in grado di reggere la competizione su tutti i fronti.

    Alcuni esempi di biomateriali

    Mele

    Alpenos ha la sua sede nel comune di Predaia, nel cuore della Val di Non. La nostra valle è famosa per i paesaggi soleggiati, la montagna ancora poco umanizzata e… le mele, ovviamente. E proprio le mele si stanno rivelando fra i candidati ideali per la produzione di biomateriali da utilizzare in diversi ambiti.

    MioMojo, tanto per citare un esempio italiano di biomateriali, è un brand di accessori denominati cruelty-free, per la cui realizzazione non vengono usate materie prime di origine animale. Niente oggetti in pelle, insomma: borse e borsette, da queste parti, sono realizzate a partire da bucce di mela o da altri scarti alimentari, come gli avanzi del caffè.

    Allo stesso modo Frumat, azienda di Bolzano, si occupa del recupero degli scarti delle mele per produrre una “pelle vegetale” chiamata Appleskin, utilizzabille per la realizzazione di abiti e accessori di moda.

    Funghi

    I funghi, al centro di una vera e propria riscoperta che ha portato gli studiosi a indagare le loro infinite diramazioni sotterranee, potrebbero essere gli alfieri di questa “biorivoluzione”. A risultare particolarmente promettente non è tanto ciò che comunemente chiamiamo “fungo”, che in realtà corrisponde solamente al corpo fruttifero, quanto il micelio, la complessa rete di sottilissime “radici” sotterranee, talvolta estesa per chilometri.

    La californiana MycoWorks ha sviluppato una tecnologia proprietaria denominata Fine Mycelium per ottenere un materiale brevettato, il Reishi, che corrisponde in pratica a un tessuto fungino “ingegnerizzato” durante la crescita per ottenere un controllo del risultato finale e una resistenza particolari. Da qui è nata la collaborazione con il marchio di moda Hermès per dare vita a un ulteriore nuovo materiale denominato Sylvania, utilizzato per la produzione di borse Victoria.

    A conferma dell’interesse del Fashion per i funghi, di recente un consorzio formato da Adidas, Stella McCartney, Lululemon e Kering (controllata da Gucci) ha investito in Mylo, azienda che sta lavorando al suo Unleather, alternativa alla pelle animale e sintetica. Ma non è solo la Moda a interessarsi al micelio: nel settore edilizio si sta sperimentando già da tempo il ricorso a mattoni prodotti a partire da funghi, che hanno già dimostrato di avere caratteristiche di versatilità e robustezza molto interessanti.

    Mais, riso e molto altro

    Il mais, attualmente coltivato su larghissima scala e fra i principali protagonisti del fenomeno – deleterio per la biodiversità – delle monocolture, ha la sua chance di “redimersi” grazie alle potenzialità di biomateriale che interessano tanto l’edilizia, quanto altri settori.

    Diverse startup e aziende consolidate stanno sperimentando l’utilizzo degli scarti della coltivazione del granturco per la produzione di materiali edili resistenti, isolanti ed economici: tra queste, tanto per citarne una, troviamo l’austriaca Wood K Plus.

    Sempre nell’ambito dell’edilizia, il brand italiano Rice House si attiene ai dettami dell’economia circolare e recupera gli scarti della produzione di un’altra diffusissima coltura, ovvero il riso, per ottenere pannelli isolanti, intonaco e molto altro. Insomma, il precetto è sempre lo stesso: di quello che coltiviamo, non si butta via niente.

    L’italiana Orange Fiber, che vanta collaborazioni con H&M e Salvatore Ferragamo, è invece impegnata su un altro fronte: quello delle bucce di arancia, dalle cui fibre di cellulosa è possibile ottenere un tessuto dalle notevoli potenzialità. Sempre all’interno di questa interessante “macedonia” troviamo la britannica Ananas Anam, che con il suo Piñatex® ricavato dalle fibre di ananas intende sostituire il pellame.

    Biofabbricazione

    Tutti i biomateriali visti finora mostrano notevoli potenzialità, anche se la loro efficacia ed efficienza andrà testata “sul campo” e nel corso del tempo. Ma è il concetto di biofabbricazione a concederci di compiere un passo ulteriore.

    Questo termine non allude semplicemente al ricorso a materiali di provenienza “biologica”. La biofabbricazione consiste infatti nel controllare la crescita di questi materiali naturali, in modo che assumano forme precise e caratteristiche finite che non necessariamente possiedono in sé, come abbiamo visto poco fa nel caso di MycoWorks con i funghi.

    Ma cosa sono questi materiali di partenza su cui è possibile lavorare per ottenere delle alternative sostenibili da utilizzare nell’edilizia, nella moda, negli imballaggi e in svariati altri ambiti? Batteri, ad esempio. Lieviti. Oppure alghe. I già citati funghi con il loro micelio. Manipolando il modo in cui questi “mattoni” di base crescono, è possibile ottenere dei prodotti finiti in grado di sostituire materiali tradizionali ad alto impatto ambientale.

    Tra le aziende impegnate nella biofabbricazione troviamo Biomason, che si è ispirata alle barriere coralline per sfruttare microrganismi nella produzione dei suoi mattoni. Ecovative, invece, controlla la crescita del micelio attorno ad altri biomateriali, per utilizzarlo come collante atossico ed ecologico.

    La biofabbricazione, sulla carta, presenta notevoli vantaggi. I materiali utilizzati, innanzitutto, dovrebbero risultare poco inquinanti e facilmente biodegradabili. E molti di questi sistemi di produzione sono progettati per risultare così semplici (per quanto spesso estremamente complessi da un punto di vista tecnologico e scientifico) da consentire una produzione decentralizzata e abbattere i costi economici e anche ambientali legati al trasporto dei materiali.

    Edilizia e biomateriali: le prospettive attuali

    Siccome per STP prima ed Alpenos ora la sostenibilità ambientale è sempre stata prioritaria, non possiamo che seguire con estremo interesse le attuali ricerche sui biomateriali e le loro applicazioni pratiche. Al momento, in ogni caso, il materiale costruttivo più ecologico e sostenibile a disposizione rimane il legno, che noi abbiamo scelto come punto di partenza per la realizzazione di case, alberghi ed edifici pubblici.

    Il legno non è inquinante, ma è anzi virtuoso, poiché è in grado di trattenere l’anidride carbonica responsabile del surriscaldamento globale. In aggiunta è un materiale salubre, poiché non rilascia volatili tossici all’interno delle abitazioni, ed è facilmente rinnovabile e riutilizzabile.

    Ma il legno non è solo eco: è anche efficiente. Resistente, flessibile e isolante, presenta una serie di caratteristiche che lo rendono estremamente apprezzabile in ambito edilizio. E così, un materiale che accompagna l’uomo sin dagli albori si riconferma più attuale che mai e riesce a tenere testa a tanti materiali più “giovani” e tecnologici.

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